Dopo anni di corsi di aggiornamento, nella mia professione, continua a mancare il pezzo più importante: l’ascolto della/del paziente.
Sarà per questo che, quando guardo negli occhi la persona davanti a me, nel modo più accogliente possibile, spesso iniziano a uscire lacrime: di dolore, di confusione, di frustrazione, di disagio nel sentire che c’è qualcosa che non va.
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Quel giorno in cui mi sono resa conto di un corto-circuito
Per anni ho inseguito la ricerca dell’unicità, delle caratteristiche costituzionali, del temperamento e di tutto ciò che potesse restituire a ciascuna persona una mappa della sua unicità. Da buon metallo (costituzione in Medicina Tradizionale Cinese) potevo cogliere il vissuto, le sfumature emotive, il nodo che creava disfunzione nel benessere di una persona.
Per anni mi sono formata e ho studiato l’aspetto mentale ed emozionale, ritrovando caratteristiche comuni, buche nelle quali le donne inciampano nel loro percorso di cura e di guarigione.
Eppure, a me che sono allenata a cogliere la complessità dell’essere umano, è mancata quella visione d’insieme sulla complessità della realtà che viviamo quotidianamente. Ci sono arrivata solo un paio di anni fa, mentre leggevo il libro di Michela Murgia, “Stai zitta”. È stato un pugno allo stomaco quello di ritrovare nella clinica le stesse dinamiche di cui racconta nel suo libro.
Un pugno doloroso e necessario a farmi rendere conto che la realtà che viviamo in Italia è una visione medica androcentrica.
Portata avanti per lo più dagli uomini, dove le donne fanno moltissima fatica a farsi strada. E dove gli stessi studi scientifici ci dimostrano come le donne, con le loro molte variabili ormonali, vengano trascurate quando si tratta di studi e sperimentazioni cliniche.
E qui il paradosso: la dimensione della cura è portata avanti dalle donne. È a loro che viene delegata più spesso la cura dei propri cari. Sono loro che si prendono cura di far fare visite, esami e controlli alle persone vicine. Sono loro che manifestano più disturbi degli uomini nel lungo termine.
Eppure, chi dice loro come sentirsi sono per lo più uomini.
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Perché ho deciso di non stare più zitta di fronte a una medicina androcentrica
In una medicina dove la persona è al centro, nei corsi di aggiornamento a cui noi professionisti sanitari siamo obbligati, nessuno si cura di come viene gestita la relazione di cura fra specialista e paziente. Di come ci si relaziona, di cosa sia l’ascolto attivo.
Sarà per questo che mi trovo pazienti confuse, con la frustrazione di chi non riesce a capire cos’abbia di sbagliato. Oppure sarà per via di una medicina androcentrica che pretende di sapere come si sente una donna e quindi arrivare a conclusioni frettolose, sminuendo sintomi e stati d’animo.
O forse per entrambi questi motivi.
Al di là delle spiegazioni che possiamo darci, la cosa più importante per me è essere di supporto alla persona che ho di fronte. Accompagnarla in un percorso di cura dove comprendere che non c’è nulla di sbagliato, nulla di difettoso, nulla di esagerato.
Ognuna di noi funziona in modo diverso, interagisce con l’ambiente in modo diverso, porta dentro di sé informazioni genetiche diverse. Ognuna di noi è un ecosistema, unico e complesso, che va ascoltato e compreso.
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E anche basta fare parallelismi con la guerra quando si tratta di cura, grazie
Non c’è bisogno di fare la guerra alla malattia, di combattere con il proprio corpo o con i propri comportamenti, di fare pace con il cibo.
Guerra e pace, conflitti e guerre sono terminologie che rimandano a un approccio maschile, laddove l’uomo da sempre è colui che va in guerra e conquista territori e popolazioni. Basta guardarci intorno e vedere cosa sta succedendo nel mondo.
La dimensione della cura è, al contrario, una dimensione femminile: di ascolto, di accoglienza, di comprensione, di accettazione di sé.
Ho deciso di non stare più zitta perché ne ho abbastanza di una medicina che invece di rafforzare la fiducia in sé stesse e nel proprio corpo, mina l’autostima e mette in discussione la capacità di comprendere le proprie sensazioni. Di una società che ci spinge a guardare al nostro corpo come pezzi scollegati e paragonarci ad altre donne che hanno qualcosa che riteniamo meglio di noi, sempre e comunque.
Concludo questo articolo dicendo: non stare più zitta nemmeno tu.
Quando non ti senti ascoltata, compresa, capita.
Quando ti sembra che il professionista davanti a te non ti stia ascoltando davvero, che sia frettoloso, superficiale e che stia sminuendo i tuoi sintomi, alza il volume della tua voce.
Non rimanere zitta, perché ho ascoltato troppe donne uscire dalle visite senza aver detto tutto ciò che sentivano di dire.
Esprimi come ti senti, dì quello che ti senti di dire. E scegli qualcun* che ti ascolti davvero, perchè ce ne sono.